icerbox Wellford 1000anni by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Capitolo quarantasei

Mà era andata a letto, ho raccontato a Robbie, l’investigatore del fuoco. Io ero uscito, come spesso mi capita, per prendere qualche coniglio.

Non c’è nulla di sbagliato. Non lo faccio per divertimento. Li uccido perché voglio mangiarli. So che a molta gente, nel XXI secolo, queste cose danno fastidio, soprattutto a chi abita in città: ecco perché ci tengo a precisarlo.

(Li colpisco con la frombola. Oggi non le usate più, ma le frombole sono armi molto efficaci. La mia è fatta con un pezzo di cuoio concavo, la borsa, a metà di una lunga corda di pelle. L’ho costruita tanti anni fa e in queste cose sono molto accurato. Ho anche il coltello di Pà, con la sua lama d’acciaio scurita dal tempo, resa sottile e consumata da secoli d’affilatura.)

A Robbie non ho raccontato nulla di tutto questo, in realtà. Ho solo detto che ero uscito per una passeggiata.

«Di notte?» ha chiesto, cercando di non sembrare troppo stupito.

C’è un campo enorme a nord del nostro bosco, che nelle fresche notti primaverili si riempie di conigli. Fino a non molto tempo fa, di notte non incontravo mai nessuno. Poi hanno costruito il complesso residenziale, e la gente ha iniziato a portare lì i cani a passeggio. Non ci vado più così spesso. Non voglio colpire per errore un cane, o magari una persona.

La sera dell’incendio avevo, legata alla testa con una cinghia, la grande luce frontale che porto sempre con me di notte, ma la luna era così alta nel cielo – quasi piena – che non avevo bisogno di nulla per vedere il sentiero. Però l’ho accesa quando sono arrivato nel campo, orientando il fascio di luce sul terreno. Gli occhi dei conigli riflettono il bagliore, e così è più facile individuare il bersaglio.

Ne ho visto subito uno, ho estratto lentamente la frombola e inserito un cuscinetto a sfera nella borsa di cuoio. Ho caricato l’arma tenendo la testa ferma, per non perdere di vista gli occhi del coniglio, mentre facevo ruotare la borsa sulle lunghe corde. È stato in quel momento che ho notato qualcosa di diverso. Una luce a sud: molto tenue, di un colore strano. Tendeva all’arancio e al grigio.

Era il colore del fuoco.

Perdonatemi, ma non credo che per voi sia un’esperienza tanto comune, quella di vedere il vostro mondo minacciato dalle fiamme: gli edifici, le città, le barche.

Per me lo è.

Ho capito subito l’origine di quel bagliore. Mentre sentivo montare il terrore, mi sono lanciato di gran carriera verso il bosco, scostando i rami, scivolando sul muschio, il respiro affannato e profondo. Sono quasi inciampato su Biffa, che schizzava via dal bosco. Il che mi ha dato conferma che stava succedendo qualcosa di terribile.

«Biffa! Biffa! Kum-a, kum-a!» ho gridato, ma la gatta non si è nemmeno voltata. In preda al panico, si è lanciata attraverso il campo come se fosse inseguita da un cane.

Anche allora, ho sentito nella testa la voce del mio vecchio maestro di combattimento: “Calmati, Alve. Il tuo cuore ha bisogno d’aria!”, così ho cercato di rallentare il respiro, di renderlo ancora più profondo, ma non è stato facile.

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